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Asincronie del Femminismo – Paola Di Cori per Archivio Queer Italia

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Un anno fa, Paola di Cori (autrice di Asincronie del femminismo, 2012, ETS, Pisa) è stata invitata da Giulia Casalini a intervenire nel progetto Archivio Queer Italia – che veniva presentato per la prima volta alla fiera d’arte contemporanea ArtVerona.

Il testo qui riportato è una preparazione all’intervento Femminismi e letture di genere in Italia, in conversazione con Marco Pustianaz (docente presso l’Università del Piemonte Orientale e co-direttore collana àltera di ETS), mediato da Beatrice Balfour (Phd, Gender and Education, University of Cambridge).

 

Paola Di Cori at ArtVerona

ArtVerona, 12 ottobre 2013

Paola Di Cori, A proposito di queer, asincronie e archivi

Credo che tra l’area queer e l’area femminista [denominazioni che significano troppe cose o nessuna, ma sono utili, almeno per un primo scambio] ci sia una relazione intorno a qualcosa che in fondo emerge solo qua e là, come nascostamente, e che invece credo valga la pena di esplicitare in questo incontro. Riguarda naturalmente ciò che a me sembra ci sia in comune tra femminismo e queer. Aldilà di un comune orizzonte di impegno civile e politico, che ci ha visto spesso d’accordo e uniti/e – come attiviste-i, cultori, amateurs, praticanti, studiose e studiosi di entrambi questi ambiti: anche se può sembrare un po’ paradossale, e pur con differenze dovute all’età e ai temi di cui ciascuna si occupa, credo si tratti di qualcosa che è condivisa da me e da Marco, e quindi la ripropongo visto che ci troviamo insieme in questo dialogo. Questo qualcosa – lo sfondo, la prospettiva, la elaborazione teorica, e anche un insieme di pratiche diverse – riguarda un’idea di archivio diversa da quella tradizionale.

Personalmente vedo l’idea di archivio come profondamente in relazione con l’asincronia.

Asincronia

Il significato corrente della parola indica qualcosa che non avviene nello stesso tempo. Ciò che mi sembra assai attraente sono gli ambiti in cui queste asincronie hanno luogo.

Elenco le principali, ma ce ne sono altre: in medicina sta ad indicare tutto un insieme di patologie – cardiache, del sistema nervoso, della riproduzione cellulare, ecc.; nel cinema, designa lo scarto o intervallo tra suono e immagine, tra fotogrammi; il presupposto del montaggio – vero e proprio motore del cinema – sono le asincronie; nella riproduzione meccanica è un elemento centrale. Pensiamo soltanto a ciò che accade quando si trasferiscono dati da un supporto all’altro: dall’hard disk, dalla rete, da un CD, dalla macchina fotografica, al monitor, ecc.); nella comunicazione: quando tra interlocutori si crea l’intervallo in cui c’è o non c’è risposta. Con le nuove tecnologie le asincronie si sono moltiplicate anziché scomparire; e anzi, la loro persistente presenza ci riempie di inquietudine: quando internet tarda a rispondere, quando un messaggio spedito un’ora fa ancora non arriva, mentre quello spedito pochi secondi fa è già arrivato; lo stesso vale per gli SMS; o quando parliamo su Skype.

Mi limito a nominare l’importanza delle asincronie nell’ambito delle scienze cosiddette esatte: le sperimentazioni in biologia; la trasmissione di dati in genetica; l’astrofisica e il Big Bang; l’entropia, ecc.

Che dire poi della musica, per la quale la percezione del suono nel tempo è un concetto fondamentale? In particolare per la musica contemporanea: penso a John Cage, a Philip Glass, alla cosiddetta musica ambient (da Brian Eno a Akira Kosemura). E la letteratura? Senza scomodare Proust, Joyce o Virginia Woolf, – le opere dei quali sono dei veri e propri inni all’asincronia.

Più vicini a noi, mi viene in mente un racconto di Calvino, in “Palomar”. Si intitola La pantofola spaiata. Una pagina e mezza tutta costruita intorno a corrispondenze asimmetriche nello spazio e nel tempo che sono vere e proprie asincronie: il signor Palomar turista in Oriente acquista in un bazar un paio di pantofole; quando torna a casa si accorge che una è più grande dell’altra. Allora ripensa al contesto in cui è avvenuto l’acquisto; ricorda il venditore che ha afferrato le due pantofole da un grande mucchio disordinato per dargliele. Subito dopo, Palomar pensa a quanto ci vorrà prima di ricomporre l’ordine delle paia di pantofole nel mucchio e pensa a colui che ha comperato o forse comprerà in avvenire il paio simmetrico al suo; quanto tempo ci vorrà prima di correggere il disordine introdotto dal paio disordinato? immagina l’altro compratore venuto chissà da dove cui è stato venduto il paio spaiato, e lo immagina mentre avanza nel deserto un po’ zoppicante perché una delle due pantofole è troppo grande e gli scappa dal piede. Prova una grande solidarietà nei suoi confronti; pensa che forse il suo paio sta in realtà cancellando un errore precedente; forse “quella pantofola spaiata ha messo riparo a una disparità che da secoli si nascondeva in quel mucchio di pantofole, tramandato da generazioni in quel bazar”. C’è quindi per Calvino una simmetria che si ricompone tra i continenti e attraverso i secoli, e così chiude il racconto: “continua a ciabattare faticosamente per dar sollievo alla sua ombra”.

In qualche modo Calvino ci sta dicendo (illuministicamente) che il mondo e le relazioni umane sono costruite su asimmetrie simmetriche. Un po’ meno illuministicamente, le asincronie non vogliono porre rimedio a questi squarci che si aprono, ma al contrario evidenziare i punti di sutura, le superfici non coincidenti; così sono i rapporti amorosi, le sessualità.

[breve parentesi: so benissimo che sto utilizzando come sinonimi termini che non sono esattamente equivalenti. In qualche modo si tratta di parole che l’asincronia ri-scopre e rilancia, aprendo nuovi spazi anche verbali per significare il nostro rapporto con il tempo, la memoria e il passato: asimmetria, intervallo, interruzione, soglia, interstizio, discontinuità, irregolarità, sospensione, intermittenza, divario, frattura]

Archivio

Evidenziare le asincronie che governano la nostra vita è stato tra gli obiettivi principali del femminismo (e anche dell’area queer, a mio avviso). Tra le modalità impiegate c’è una utilizzazione dell’idea di archivio diversa da quella tradizionale, qualcosa su cui occorre ancora tanto riflettere.

Diciamo, per brevità, che l’attenzione posta dal femminismo sulla vita quotidiana, attraversata da un’incessante presenza di asincronie di ogni genere è stato un elemento importante nella   operazione per creare discontinuità e per rappresentare le differenze. E’ scomparsa una fruizione del passato intesa nei suoi elementi di progresso, di successione, di continuità, e anche di causalità. La memoria esiste ormai soprattutto nel presente, nell’attimo in cui la cogliamo in un fotogramma, in un oggetto che sappiamo appartenere a un ‘prima’. Il compito che abbiamo di fronte non è quello (impossibile) di ricostruire ciò che è stato così com’è stato, concepito su un principio di accumulazione e di “messa in ordine”, bensì quello di impegnarci in una incessante opera ‘decostruttrice degli archivi’, per così dire: mostrando che gli archivi sono costruzioni irregolari, troppo vuoti e troppo pieni allo stesso tempo: immense accumulazioni di vuoti, di silenzi, censure e assenze, da un lato; e dall’altro ingombranti magazzini da liberare, ripulire, trasformare.

Credo che abbiamo bisogno di esercitarci in forme di asincronia attiva, riciclando e rilanciando nel presente e nella vita quotidiana pezzi di tradizione passata riproponendole in un loro uso rovesciato. In fondo questo è stato il ruolo svolto dal femminismo e dal queer

Archiviare vuol dire anche saper riproporre un uso divenuto più consapevole delle parole. E’ del mese scorso un documento importante in questo senso: la lettera al ministro Bray sulle definizioni dei termini relativi al genere, e alle sessualità contenute nell’enciclopedia Treccani on-line: offensive, errate, deviate e devianti. Ecco un esempio positivo di buon uso dell’archivio come entità storica, mutevole nel tempo e modificabile: che altro è un dizionario della lingua se non un archivio?

In ambito anglofono (e anche latinoamericano) la nozione di archivio è stata sottoposta a una approfondita analisi che, oltre a richiamarsi a Foucault, si è servita delle molte suggestioni offerte da Derrida nel suo Mal d’archive (1995). Derrida ricorda che la parola rinvia allo stesso tempo al ‘cominciamento’ e anche al ‘comando’, sia a un elemento di carattere storico che a un principio di natura nomologica; egli osserva che “oggi niente è meno certo, niente meno chiaro della parola ‘archivio’”, “niente è più torbido e conturbante”; e aggiunge: “l’archivio riserva sempre un problema di traduzione”.

E’ proprio aderendo a queste indicazioni, e accogliendone l’elemento dinamico, che possiamo apprezzare alcuni ottimi risultati di ricerche come quella di recente pubblicata da Anjali Arondekar, docente a Santa Cruz (California) di studi femministi e queer, nel suo For the Record. On Sexuality and the Colonial Archive in India (2009). Attraverso l’analisi di documenti giuridici, letterari e giornalistici dell’India nel secolo XIX° questa studiosa offre un affascinante e problematico affresco multidisciplinare intorno al legame tra costituzione degli archivi, sessualità e tematiche postcoloniali. Tale intreccio viene continuamente sottoposto a riflessione critica da Arondekar, la quale brillantemente mostra le contraddizioni tipiche della tradizione dominante, caratterizzata dal considerare l’archivio come depositario di verità inconfutabili; di qui la ricerca ingenua di prove chiare e definitive, l’ansia di legittimazione, la pretesa di improbabile coerenza. In effetti, sebbene l’atto di archiviare esprima un desiderio di chiusura e sistemazione, esso è sempre accompagnato da un altrettanto forte impulso a rendere problematico il rapporto e il gesto di archiviare, all’interrogazione; non quindi un mero contenitore e ricettacolo di tracce, ma un punto di incrocio, occasione per rimetterne continuamente in discussione i contenuti. Ecco quindi che ogni momento dell’archiviazione, ciascuna aggiunta o riapertura, modifica il significato stesso dell’archivio, proponendo non tanto la statica condizione di un insieme di memorie passate da riordinare, bensì un’idea di movimento, di futuro, problemi su cui indagare ulteriormente. Dieci anni dopo il testo sul male d’archivio, Derrida ha scritto alcune pagine a proposito del regalo da parte di Hélène Cixous dei propri scritti (in Genèses, généalogies, genres et le génie, 2003), e ha osservato che occorre fare attenzione a ciò che negli archivi si trova di nascosto, ai “segreti dell’archivio”; al fatto che chi riceve questo dono non è beneficiario di un gesto di munificenza ma si trova tra le mani una vera e propria scatola di Pandora.

Infine, è abbastanza chiaro da quanto ho detto, che nei confronti degli archivi c’è un grande investimento di emozioni, ideali, sentimenti, che li trasformano in luoghi dove si concentra un insieme di affetti e di memorie di chi li costruisce e li mette in ordine, li classifica.

Femminismo e accademia italiana

In preparazione di questo incontro mi era stato chiesto di commentare alcune parti dove si riflette sulla relazione tra il femminismo italiano, la politica, e l’accademia. Qual’e in Italia la relazione tra accademia e politiche femministe? Quali erano i centri più attivi? Ci sono anche ora queste sincronie o si sono disperse?

Non posso dilungarmi troppo, quindi mi limito a elencare alcuni punti che poi sono sparsi e analizzati in varie maniere nel mio libro.

– Innanzitutto viene posta nel libro una esigenza relativa alla storia del femminismo, che in qualche modo appare un po’ imbalsamata: è costruita con alcune figure – sempre le stesse – individuate come ‘fondatrici’, antenate, divinità di un pantheon da venerare. Ci sono episodi sparsi, atti di fondazione, slogan, alcune analisi – poche. Mi piacerebbe che si cominciasse a considerare questa storia come un reperto antiquario che va riempito di esperienze, di biografie, di linee ideali da interpretare, ma anche dei conflitti, incongruenze, incertezze, che costituiscono il pane quotidiano nelle vite di donne e di uomini.

– C’è inoltre un’istanza per interpretare il confronto tra le generazioni in maniera meno statica di quanto sia stato fatto fino a questo momento. Se quello delle “fondatrici” storiche non appare più come un muro sacro che s’innalza inaccessibile, su cui appoggiarsi, ma che è impossibile da attraversare e non consente di costruire dei passaggi con “l’altra parte”, è evidente che rimaniamo nella paralisi. Non c’è incontro e dialogo possibile senza aperture, rovesciamenti, e comprensioni dei cambiamenti intercorsi in cinquant’anni, ma specialmente negli ultimi dieci-venti. Per leggere e interpretare il presente, occorre interagire criticamente a vari livelli con le istituzioni, ma soprattutto con altre e altri.

   – Inoltre, volevo dare l’idea che fare questo tipo di riflessioni miste – tra teoria, politica, storia, scienze umane e sociali, arti – doveva anche essere accompagnato da immagini e suoni. Perché la mia generazione ha vissuto con grande intensità, le rivoluzioni musicali, cinematografiche e artistiche degli anni ’60 e ’70. Ogni tentativo di fare storia del femminismo si accompagna idealmente di suoni e immagini. Il mondo in cui viviamo non è silenzioso né grigio.

– Vorrei anche aggiungere, ricollegandomi a quanto dicevo all’inizio, che asincronia indica l’impossibilità di non considerare più quell’insieme così diversificato e complesso che chiamiamo ‘femminismo’ come qualcosa con cui si può stabilire un’immediata continuità, quasi un’esatta corrispondenza con il nostro presente. Tra coloro che si dichiarano (ci dichiariamo) femministe oggi, e quelle di trenta, quaranta e cinquant’anni fa, non c’è alcuna coincidenza né discendenza diretta. Al contrario, c’è un divario, che non è solo dovuto al passaggio del tempo, anche se è la dimensione temporale quella che meglio riflette lo scarto.

– Per concludere (senza chiudere, ma con la speranza di stimolare aperture). Nel corso di un incontro a Firenze l’anno scorso, avevo suggerito come spunto di discussione un’affermazione relativa all’eredità del femminismo, che ha molto a che fare con le osservazioni precedenti. Sostenevo che “femministe non si nasce… Quando si parla di femminismo e delle sue possibili storie è il desiderio di politica la sua eredità più preziosa.” Mi sembra un punto su cui ragionare: un’impossibilità di fare politica e di concepire la politica come negli anni ’70 e ’80. Le difficoltà di tutti oggi in Italia e nel mondo, di concepire un agire politico come in quei decenni ormai lontani, si ripercuote su ogni idea che possiamo avere di cosa sia il femminismo oggi.

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Un anno fa, Paola di Cori (autrice di Asincronie del femminismo, 2012, ETS, Pisa) è stata invitata da Giulia Casalini a intervenire nel progetto Archivio Queer Italia – che veniva presentato per la prima volta alla fiera d’arte contemporanea ArtVerona.

Il testo qui riportato è una preparazione all’intervento Femminismi e letture di genere in Italia, in conversazione con Marco Pustianaz (docente presso l’Università del Piemonte Orientale e co-direttore collana àltera di ETS), mediato da Beatrice Balfour (Phd, Gender and Education, University of Cambridge).

 

Paola Di Cori at ArtVerona

ArtVerona, 12 ottobre 2013

Paola Di Cori, A proposito di queer, asincronie e archivi

Credo che tra l’area queer e l’area femminista [denominazioni che significano troppe cose o nessuna, ma sono utili, almeno per un primo scambio] ci sia una relazione intorno a qualcosa che in fondo emerge solo qua e là, come nascostamente, e che invece credo valga la pena di esplicitare in questo incontro. Riguarda naturalmente ciò che a me sembra ci sia in comune tra femminismo e queer. Aldilà di un comune orizzonte di impegno civile e politico, che ci ha visto spesso d’accordo e uniti/e – come attiviste-i, cultori, amateurs, praticanti, studiose e studiosi di entrambi questi ambiti: anche se può sembrare un po’ paradossale, e pur con differenze dovute all’età e ai temi di cui ciascuna si occupa, credo si tratti di qualcosa che è condivisa da me e da Marco, e quindi la ripropongo visto che ci troviamo insieme in questo dialogo. Questo qualcosa – lo sfondo, la prospettiva, la elaborazione teorica, e anche un insieme di pratiche diverse – riguarda un’idea di archivio diversa da quella tradizionale.

Personalmente vedo l’idea di archivio come profondamente in relazione con l’asincronia.

Asincronia

Il significato corrente della parola indica qualcosa che non avviene nello stesso tempo. Ciò che mi sembra assai attraente sono gli ambiti in cui queste asincronie hanno luogo.

Elenco le principali, ma ce ne sono altre: in medicina sta ad indicare tutto un insieme di patologie – cardiache, del sistema nervoso, della riproduzione cellulare, ecc.; nel cinema, designa lo scarto o intervallo tra suono e immagine, tra fotogrammi; il presupposto del montaggio – vero e proprio motore del cinema – sono le asincronie; nella riproduzione meccanica è un elemento centrale. Pensiamo soltanto a ciò che accade quando si trasferiscono dati da un supporto all’altro: dall’hard disk, dalla rete, da un CD, dalla macchina fotografica, al monitor, ecc.); nella comunicazione: quando tra interlocutori si crea l’intervallo in cui c’è o non c’è risposta. Con le nuove tecnologie le asincronie si sono moltiplicate anziché scomparire; e anzi, la loro persistente presenza ci riempie di inquietudine: quando internet tarda a rispondere, quando un messaggio spedito un’ora fa ancora non arriva, mentre quello spedito pochi secondi fa è già arrivato; lo stesso vale per gli SMS; o quando parliamo su Skype.

Mi limito a nominare l’importanza delle asincronie nell’ambito delle scienze cosiddette esatte: le sperimentazioni in biologia; la trasmissione di dati in genetica; l’astrofisica e il Big Bang; l’entropia, ecc.

Che dire poi della musica, per la quale la percezione del suono nel tempo è un concetto fondamentale? In particolare per la musica contemporanea: penso a John Cage, a Philip Glass, alla cosiddetta musica ambient (da Brian Eno a Akira Kosemura). E la letteratura? Senza scomodare Proust, Joyce o Virginia Woolf, – le opere dei quali sono dei veri e propri inni all’asincronia.

Più vicini a noi, mi viene in mente un racconto di Calvino, in “Palomar”. Si intitola La pantofola spaiata. Una pagina e mezza tutta costruita intorno a corrispondenze asimmetriche nello spazio e nel tempo che sono vere e proprie asincronie: il signor Palomar turista in Oriente acquista in un bazar un paio di pantofole; quando torna a casa si accorge che una è più grande dell’altra. Allora ripensa al contesto in cui è avvenuto l’acquisto; ricorda il venditore che ha afferrato le due pantofole da un grande mucchio disordinato per dargliele. Subito dopo, Palomar pensa a quanto ci vorrà prima di ricomporre l’ordine delle paia di pantofole nel mucchio e pensa a colui che ha comperato o forse comprerà in avvenire il paio simmetrico al suo; quanto tempo ci vorrà prima di correggere il disordine introdotto dal paio disordinato? immagina l’altro compratore venuto chissà da dove cui è stato venduto il paio spaiato, e lo immagina mentre avanza nel deserto un po’ zoppicante perché una delle due pantofole è troppo grande e gli scappa dal piede. Prova una grande solidarietà nei suoi confronti; pensa che forse il suo paio sta in realtà cancellando un errore precedente; forse “quella pantofola spaiata ha messo riparo a una disparità che da secoli si nascondeva in quel mucchio di pantofole, tramandato da generazioni in quel bazar”. C’è quindi per Calvino una simmetria che si ricompone tra i continenti e attraverso i secoli, e così chiude il racconto: “continua a ciabattare faticosamente per dar sollievo alla sua ombra”.

In qualche modo Calvino ci sta dicendo (illuministicamente) che il mondo e le relazioni umane sono costruite su asimmetrie simmetriche. Un po’ meno illuministicamente, le asincronie non vogliono porre rimedio a questi squarci che si aprono, ma al contrario evidenziare i punti di sutura, le superfici non coincidenti; così sono i rapporti amorosi, le sessualità.

[breve parentesi: so benissimo che sto utilizzando come sinonimi termini che non sono esattamente equivalenti. In qualche modo si tratta di parole che l’asincronia ri-scopre e rilancia, aprendo nuovi spazi anche verbali per significare il nostro rapporto con il tempo, la memoria e il passato: asimmetria, intervallo, interruzione, soglia, interstizio, discontinuità, irregolarità, sospensione, intermittenza, divario, frattura]

Archivio

Evidenziare le asincronie che governano la nostra vita è stato tra gli obiettivi principali del femminismo (e anche dell’area queer, a mio avviso). Tra le modalità impiegate c’è una utilizzazione dell’idea di archivio diversa da quella tradizionale, qualcosa su cui occorre ancora tanto riflettere.

Diciamo, per brevità, che l’attenzione posta dal femminismo sulla vita quotidiana, attraversata da un’incessante presenza di asincronie di ogni genere è stato un elemento importante nella   operazione per creare discontinuità e per rappresentare le differenze. E’ scomparsa una fruizione del passato intesa nei suoi elementi di progresso, di successione, di continuità, e anche di causalità. La memoria esiste ormai soprattutto nel presente, nell’attimo in cui la cogliamo in un fotogramma, in un oggetto che sappiamo appartenere a un ‘prima’. Il compito che abbiamo di fronte non è quello (impossibile) di ricostruire ciò che è stato così com’è stato, concepito su un principio di accumulazione e di “messa in ordine”, bensì quello di impegnarci in una incessante opera ‘decostruttrice degli archivi’, per così dire: mostrando che gli archivi sono costruzioni irregolari, troppo vuoti e troppo pieni allo stesso tempo: immense accumulazioni di vuoti, di silenzi, censure e assenze, da un lato; e dall’altro ingombranti magazzini da liberare, ripulire, trasformare.

Credo che abbiamo bisogno di esercitarci in forme di asincronia attiva, riciclando e rilanciando nel presente e nella vita quotidiana pezzi di tradizione passata riproponendole in un loro uso rovesciato. In fondo questo è stato il ruolo svolto dal femminismo e dal queer

Archiviare vuol dire anche saper riproporre un uso divenuto più consapevole delle parole. E’ del mese scorso un documento importante in questo senso: la lettera al ministro Bray sulle definizioni dei termini relativi al genere, e alle sessualità contenute nell’enciclopedia Treccani on-line: offensive, errate, deviate e devianti. Ecco un esempio positivo di buon uso dell’archivio come entità storica, mutevole nel tempo e modificabile: che altro è un dizionario della lingua se non un archivio?

In ambito anglofono (e anche latinoamericano) la nozione di archivio è stata sottoposta a una approfondita analisi che, oltre a richiamarsi a Foucault, si è servita delle molte suggestioni offerte da Derrida nel suo Mal d’archive (1995). Derrida ricorda che la parola rinvia allo stesso tempo al ‘cominciamento’ e anche al ‘comando’, sia a un elemento di carattere storico che a un principio di natura nomologica; egli osserva che “oggi niente è meno certo, niente meno chiaro della parola ‘archivio’”, “niente è più torbido e conturbante”; e aggiunge: “l’archivio riserva sempre un problema di traduzione”.

E’ proprio aderendo a queste indicazioni, e accogliendone l’elemento dinamico, che possiamo apprezzare alcuni ottimi risultati di ricerche come quella di recente pubblicata da Anjali Arondekar, docente a Santa Cruz (California) di studi femministi e queer, nel suo For the Record. On Sexuality and the Colonial Archive in India (2009). Attraverso l’analisi di documenti giuridici, letterari e giornalistici dell’India nel secolo XIX° questa studiosa offre un affascinante e problematico affresco multidisciplinare intorno al legame tra costituzione degli archivi, sessualità e tematiche postcoloniali. Tale intreccio viene continuamente sottoposto a riflessione critica da Arondekar, la quale brillantemente mostra le contraddizioni tipiche della tradizione dominante, caratterizzata dal considerare l’archivio come depositario di verità inconfutabili; di qui la ricerca ingenua di prove chiare e definitive, l’ansia di legittimazione, la pretesa di improbabile coerenza. In effetti, sebbene l’atto di archiviare esprima un desiderio di chiusura e sistemazione, esso è sempre accompagnato da un altrettanto forte impulso a rendere problematico il rapporto e il gesto di archiviare, all’interrogazione; non quindi un mero contenitore e ricettacolo di tracce, ma un punto di incrocio, occasione per rimetterne continuamente in discussione i contenuti. Ecco quindi che ogni momento dell’archiviazione, ciascuna aggiunta o riapertura, modifica il significato stesso dell’archivio, proponendo non tanto la statica condizione di un insieme di memorie passate da riordinare, bensì un’idea di movimento, di futuro, problemi su cui indagare ulteriormente. Dieci anni dopo il testo sul male d’archivio, Derrida ha scritto alcune pagine a proposito del regalo da parte di Hélène Cixous dei propri scritti (in Genèses, généalogies, genres et le génie, 2003), e ha osservato che occorre fare attenzione a ciò che negli archivi si trova di nascosto, ai “segreti dell’archivio”; al fatto che chi riceve questo dono non è beneficiario di un gesto di munificenza ma si trova tra le mani una vera e propria scatola di Pandora.

Infine, è abbastanza chiaro da quanto ho detto, che nei confronti degli archivi c’è un grande investimento di emozioni, ideali, sentimenti, che li trasformano in luoghi dove si concentra un insieme di affetti e di memorie di chi li costruisce e li mette in ordine, li classifica.

Femminismo e accademia italiana

In preparazione di questo incontro mi era stato chiesto di commentare alcune parti dove si riflette sulla relazione tra il femminismo italiano, la politica, e l’accademia. Qual’e in Italia la relazione tra accademia e politiche femministe? Quali erano i centri più attivi? Ci sono anche ora queste sincronie o si sono disperse?

Non posso dilungarmi troppo, quindi mi limito a elencare alcuni punti che poi sono sparsi e analizzati in varie maniere nel mio libro.

– Innanzitutto viene posta nel libro una esigenza relativa alla storia del femminismo, che in qualche modo appare un po’ imbalsamata: è costruita con alcune figure – sempre le stesse – individuate come ‘fondatrici’, antenate, divinità di un pantheon da venerare. Ci sono episodi sparsi, atti di fondazione, slogan, alcune analisi – poche. Mi piacerebbe che si cominciasse a considerare questa storia come un reperto antiquario che va riempito di esperienze, di biografie, di linee ideali da interpretare, ma anche dei conflitti, incongruenze, incertezze, che costituiscono il pane quotidiano nelle vite di donne e di uomini.

– C’è inoltre un’istanza per interpretare il confronto tra le generazioni in maniera meno statica di quanto sia stato fatto fino a questo momento. Se quello delle “fondatrici” storiche non appare più come un muro sacro che s’innalza inaccessibile, su cui appoggiarsi, ma che è impossibile da attraversare e non consente di costruire dei passaggi con “l’altra parte”, è evidente che rimaniamo nella paralisi. Non c’è incontro e dialogo possibile senza aperture, rovesciamenti, e comprensioni dei cambiamenti intercorsi in cinquant’anni, ma specialmente negli ultimi dieci-venti. Per leggere e interpretare il presente, occorre interagire criticamente a vari livelli con le istituzioni, ma soprattutto con altre e altri.

   – Inoltre, volevo dare l’idea che fare questo tipo di riflessioni miste – tra teoria, politica, storia, scienze umane e sociali, arti – doveva anche essere accompagnato da immagini e suoni. Perché la mia generazione ha vissuto con grande intensità, le rivoluzioni musicali, cinematografiche e artistiche degli anni ’60 e ’70. Ogni tentativo di fare storia del femminismo si accompagna idealmente di suoni e immagini. Il mondo in cui viviamo non è silenzioso né grigio.

– Vorrei anche aggiungere, ricollegandomi a quanto dicevo all’inizio, che asincronia indica l’impossibilità di non considerare più quell’insieme così diversificato e complesso che chiamiamo ‘femminismo’ come qualcosa con cui si può stabilire un’immediata continuità, quasi un’esatta corrispondenza con il nostro presente. Tra coloro che si dichiarano (ci dichiariamo) femministe oggi, e quelle di trenta, quaranta e cinquant’anni fa, non c’è alcuna coincidenza né discendenza diretta. Al contrario, c’è un divario, che non è solo dovuto al passaggio del tempo, anche se è la dimensione temporale quella che meglio riflette lo scarto.

– Per concludere (senza chiudere, ma con la speranza di stimolare aperture). Nel corso di un incontro a Firenze l’anno scorso, avevo suggerito come spunto di discussione un’affermazione relativa all’eredità del femminismo, che ha molto a che fare con le osservazioni precedenti. Sostenevo che “femministe non si nasce… Quando si parla di femminismo e delle sue possibili storie è il desiderio di politica la sua eredità più preziosa.” Mi sembra un punto su cui ragionare: un’impossibilità di fare politica e di concepire la politica come negli anni ’70 e ’80. Le difficoltà di tutti oggi in Italia e nel mondo, di concepire un agire politico come in quei decenni ormai lontani, si ripercuote su ogni idea che possiamo avere di cosa sia il femminismo oggi.

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